Le politiche sociali in Piemonte? Porta che bussi servizio che trovi. Il sistema della provincia di Alessandria è ingiusto. Solo l’indifferenza o l’inadeguatezza della politica possono accettarlo. Questo è il tempo di cambiare.

I

(Prima elaborazione dei dati)

Avremo a che fare con i numeri di una nuova fragilità sociale che si sovrapporrà a quella storica, numeri così grandi che la sola proiezione, già oggi accertabile, dovrebbe farci tremare.

Ad essere all’altezza della sfida si dovrebbe da subito avere il senso del limite degli strumenti che sono a disposizione nelle politiche socio sanitarie. Tale approccio permetterebbe al decisore pubblico di valutare con precisione che il sistema escluderà molti cittadini e che per non escluderne troppi è opportuno rendere il sistema stesso il più giusto possibile. E già oggi, purtroppo, il sistema che eroga servizi socio sanitari presenta disparità economiche, e quindi qualitative, che solo l’indifferenza o l’inadeguatezza politica possono giustificare. Questo sistema iniquo ha molti padri e molte madri. Con questa prima parte di indagine conoscitiva, sviluppata grazie agli ultimi dati (2017) pubblicati nel dossier della Regione Piemonte “I servizi sociali territoriali in cifre”, e con la volontà di essere conseguenti nella prossima azione politico amministrativa, non si intende evidenziare il problema per incolpare qualcuno ma si prova a evidenziare le storture per porre rimedio. Sul finire della scorsa Legislatura regionale le proposte di cambiamento non sono mancate ma le forze della conservazione, a destra come a sinistra, hanno costruito solidi muri a tutela dell’esistente. Ma l’esistente non è la migliore espressione dell’uguaglianza sociale. Dovremmo chiedere a chi “sta sul campo” delle disperazioni sociali e sanitarie tutti i giorni, con una fatica immane, se è vero che quasi quotidianamente si scontrano, loro malgrado, con l’incapacità del sistema di offrire ai cittadini equità di accesso ai diritti, ai servizi e alle singole prestazioni individuali. E se è vero che ancora oggi negli sportelli si raccolgono le volontà di nuclei familiari che cambiano residenza perché “in quel territorio ti danno di più” o “offrono un servizio migliore di assistenza domiciliare”, e così via. Il problema non è la differenza nella diversità di quota versata all’Ente gestore tra grande e piccolo Comune. La differenza risponde ad una logica solidaristica e assicurativa ed è proporzionata anche a quanto richiesto da una grande città rispetto ai piccoli Comuni, anche perché spesso questi ultimi dimostrano di essere più virtuosi, autonomi, competenti nel trovare soluzioni proprio nel contesto di vita delle persone, anche grazie ai loro capaci amministratori. Nel contesto delle quote consortili si va dai 12,74 euro dei piccoli Comuni del novese ai 25,50 dei piccoli Comuni del tortonese, mentre per i centri zona si va dai 15,99% di Novi Ligure ai 30,94 di Valenza. Quello che sorprende, ancora nel 2020, è la differenza di quote e di conseguente erogazione nei territori dei diversi consorzi e Asl, a volte a pochissimi chilometri di distanza, che determinano una grande differenza di accessibilità e di fruizione dei stessi servizi. Ma non solo. Sorprendono ancor di più le quote di trasferimento dei fondi dalla Regione Piemonte ai bilanci degli Enti Gestori che variano dal 30% (nell’alessandrino) al 50% (nel novese) della copertura dei bilanci, e ciò succede per ragioni che dovremmo indagare con maggiore attenzione. Quello che non deve sorprendere è che l’effetto di entrate diverse determina percentuali diverse ovviamente anche nell’erogazione dei servizi. Tanto che nel territorio casalese la percentuale di popolazione che utilizza i servizi socio sanitari è pari al 7,44% della popolazione complessiva mentre nell’alessandrino è solo del 2,60%.  Altri strumenti generatori di disparità sembrerebbero essere i regolamenti consortili che, questo è risaputo, continuano ad applicare criteri autodeterminati e conseguentemente diversi l’uno dall’altro. In sostanza il cittadino paga una compartecipazione al costo dei servizi diversa a seconda di dove risiede. Ma i paradossi si estendono anche ad altri temi. Per esempio viene da chiedersi come mai in alcuni Distretti sanitari dell’Asl Al, tra questi certamente quello della città di Alessandria, non si sia ancora insediato il Comitato di Distretto alessandrino dei Sindaci, fatto che comporta per i cittadini e gli Amministratori stessi una perdita importante per la declinazione dei piani programmatici dei territori e come conseguenza operativa una situazione critica per i servizi socio sanitari. Ovviamente tale situazione critica determina una ricaduta immediata sui cittadini. E altro, altro ancora, che in questo cammino valuteremo insieme nei particolari. Per questo chiediamo un aiuto; serve per approfondire e per provare a dimostrare che un sistema migliore è possibile, oltre che necessario. 

I DATI IN 6 TABELLE.

Tab 1. A chi vengono erogati i servizi e con quali percentuali rispetto al totale degli utilizzatori?

Tab. 2. Suddivisione in percentuale dei servizi complessivi resi nelle otto province piemontesi.

Tab. 3. Percentuale di cittadini che ricevono servizi rispetto alla popolazione complessiva suddivisi per province: Piemonte 5,88%.

Tab. 4. A chi, e in quali percentuali rispetto alla popolazione complessiva, vengono erogati i servizi dagli Enti gestori in provincia di Alessandria?

Tab. 5. Le entrate a bilancio degli Enti Gestori delle politiche sociali della provincia di Alessandria e percentuali rispetto al totale (Nella colonna “da Comuni”, la quota per abitante pagata dalle Amministrazioni Comunali).

Tab. 6. Spese “correnti” a bilancio in percentuale suddivise in macro aree d’attività. Piemonte e provincia di Alessandria.