In questo turno elettorale la partecipazione è una delle questioni più significative che i cittadini hanno consegnato alla politica. La decisione di non partecipare è un segnale che va decifrato con molta attenzione e non può essere catalogato banalmente tra le dinamiche possibili del nostro tempo quasi fossero compatibili con una sana democrazia moderna. Non c’è nulla di sano se in taluni casi più della metà degli elettori ritiene inutile il suo voto o peggio se preferisce segnalare con la sua assenza il disagio nei confronti delle Istituzioni Pubbliche.
Come superare questo problema? Come sempre le soluzioni alle situazioni complicate non sono mai semplici e i tempi non sono mai brevi, però il cammino merita sempre un primo passo nella direzione giusta. Per ora mi limito ad enunciare tre aspetti che dovremmo sviluppare meglio nel prossimo futuro senza la presunzione che, pur combinati tra loro, possano risultare sufficienti.
La prima leva può essere attivata dalle amministrazioni comunali ed è l’avvio, anche in forma sperimentale, di processi realmente partecipativi su argomenti specifici territoriali, meglio, come ho anticipato, se circoscritti entro singoli comuni. Non il “tutti su tutto” perché spero sia alle nostre spalle la fase del “uno vale uno”. Ma con cittadini informati, consapevoli, interessati e coinvolti su determinati argomenti che possano esprimere le loro ragioni. Una partecipazione abbinata ad una deliberazione in grado di orientare l’istituzione pubblica.
La seconda leva può essere attivata dal patto tra politica nazionale e politica locale e riguarda la riforma dello Stato nel senso dell’autonomismo regionale e del federalismo municipale con un profilo solidale ma efficace che del decentramento amministrativo fa un tratto distintivo.
La terza leva è solo in mano alla politica nazionale, in particolare al Parlamento, ed è la legge elettorale. Non ho particolari aspettative circa il cambiamento necessario ma, siccome ho specificato prima che questo non può essere uno scritto esaustivo, provo in estrema sintesi almeno a marcare il mio pensiero con chiarezza. Se una legge elettorale privilegia il rapporto con le segreterie nazionali dei Partiti (listini bloccati senza preferenze) un candidato/a è principalmente interessato a creare legami di fedeltà o lealtà con i leader. Al contrario, se una legge elettorale privilegia il rapporto con gli elettori (preferenze o uninominali in piccoli e medi collegi) un candidato/a è molto interessato a creare legami con le persone che vivono nel suo territorio. Nel primo caso, evidentemente, il coinvolgimento degli elettori è minimo, nel secondo caso potenzialmente è molto, molto più alto. E comunque almeno il Parlamento non sarebbe composto da leali o fedeli nominati.