Il PD del Piemonte e il Congresso Regionale in mezzo al guado.

 

A partire dal metodo, che in politica spesso viene prima del merito, il PD è da rivedere. Mesi e mesi fa, comunque prima del 4 marzo 2018, giorno delle nostre forche caudine, eleggemmo i Segretari di Circoli e i Segretari provinciali secondo uno schema unitario (o correntizio, a seconda dei casi) nato più o meno ai tempi del Congresso Nazionale 2017 Renzi – Orlando – Emiliano. Il 16 dicembre prossimo eleggeremo in Piemonte un Segretario in mezzo al guado, tra la sponda che stiamo lasciando e quella che troveremo dopo il Congresso Nazionale del marzo 2019. Dal guado all’altra sponda, sempre che l’acqua non superi le nostre altezze, dovremo decidere a cosa potrà ancora servire il PD e dove vorremo posizionarlo tra le persone, tra le loro esigenze, le paure e le speranze. Dal punto in cui ci troviamo dovremo muoverci, in fondo la decisione è sempre un viaggio che ci impone di uscire dalle nostre insicurezze. La decisione ci porta fuori dalla nostra mente, ci costringe a confrontarci con il mondo reale. La decisione implica anche la possibilità di fallire, di sbagliare. In altre parole, per decidere bisogna fare un passo in qualche direzione. L’importante è non restare fermi. Ma in mezzo al guado secondo quale logica scegliamo il gruppo dirigente piemontese e il suo Segretario? Forse quella della sponda che abbiamo appena lasciato, quella delle forche caudine? Certamente non secondo la logica della sponda che ancora non conosciamo perché il 16 dicembre non sarà l’anteprima in salsa piemontese del Congresso Nazionale. Io credo si debba lavorare fino all’ultimo istante per una soluzione unitaria.

Anche perché se non avremo spazio e volontà per un Segretario Regionale unitario, di transizione, cioè con un incarico a tempo determinato, che accompagni il Partito dal punto in cui ci troviamo al posto in cui ci troveremo, e fin dopo le elezioni regionali del maggio 2019, non ci resterà che sceglierlo secondo altre logiche. Vedremo quali: conoscenza, amicizia, territorio, interesse, generazione. Logiche molto interne e poco popolari (del popolo). Mi si risparmi solo il criterio dei documenti programmatici perché in mezzo al guado il “programma” sarà un mero esercizio letterario o, ad esser buoni, una necessaria raccolta delle buone intenzioni. Sia chiaro, anche io sceglierò una mia logica. L’unico timore che ho è che questo metodo ci consegni dirigenti scelti in tre epoche talmente diverse tra loro da non sembrare nemmeno più dirigenti dello stesso Partito.