SARA’ LA STORIA A CAMBIARCI MA IN PIEMONTE NON ABBIAMO GLI STESSI TEMPI DEL PD NAZIONALE

Provo con chiarezza a dirvi quello che penso del mio partito (il PD).

Riassumo in breve una convinzione che meriterebbe capitoli interi di un libro, altro che qualche riga. Quando nei primi anni del nuovo millennio i gruppi dirigenti dei DS e della Margherita decisero di fondare un nuovo partito aggregando le culture socialiste con quelle cattolico democratiche avevano di fronte le opportunità della globalizzazione e della potenziale diffusione del benessere in parti del mondo non sviluppate sul piano economico tanto quanto il nostro “occidente”. Avevano una visione, una prospettiva. Non è per nulla vero che non avevano il coraggio di interpretare il loro tempo. Oltretutto, con concretezza e pratica politica, volevano un’Italia bi polare poggiata sulla vocazione maggioritaria, ovvero sulla competizione tra centro destra e centrosinistra, con un quadro più semplice e leggibile dai cittadini dell’offerta politica. Una sola nota personale: non ho partecipato a quel processo costituente, non vedevo i tempi lunghi degli effetti positivi della globalizzazione, raccoglievo ogni giorno le contraddizioni e le storture di un processo storico voluto e guidato dal capitalismo finanziario che le democrazie hanno in larga misura subito, più che gestito. Il PD del bipolarismo aveva l’ambizione di rappresentare tutti nella trasformazione della società perché non ne contemplava i conflitti sociali. Ma quindici anni dopo, nella sovrapposizione di più crisi, dove i conflitti sociali sono emersi con tutta la loro evidenza, quel PD del “tutti” ha terminato la sua funzione storica perché costretto a schierarsi sempre “con una parte” per non diventare irrilevante. E infatti si è costretto se non all’irrilevanza almeno all’opposizione. Chiarisco il punto: il PD è finito sotto pressione perché non ha saputo dare una risposta netta, comprensibile, ai conflitti tra nord e sud, tra nuove e vecchie generazioni, tra sviluppo e ambiente, tra benestanti e poveri, tra donne e uomini, tra lavoratori precari e lavoratori a tempo indeterminato, tra professionisti affermati e giovani professionisti, tra sanità pubblica e sanità privata, tra centralismo e decentramento amministravo. E potrei continuare per ore.

La crisi del PD e di tutta la sinistra si sviluppa su questo schema di ambiguità. Ora, noi abbiamo un congresso (dicono) costituente. Le parole sono importanti: a me pare più un congresso del PD (a cui si aggiungono gli amici di Art. 1.) che un congresso costituente. “Costituente” in Italia è una parola troppo importante per essere sprecata. Quindi anche la ridondanza del “comitato costituente” andrebbe ricondotta ad una normalità più adeguata al processo che vivremo fino al giorno delle Primarie di febbraio. Faremo un congresso per eleggere un nuovo segretario anche se sarà più complicato eleggere un nuovo gruppo dirigente. Anche qui voglio essere chiaro e coerente con quanto scritto fino ad ora: è il PD ad essere inadeguato, non tutto il gruppo dirigente nazionale. Gran parte del gruppo dirigente ha commesso un errore più umano che politico, cioè mosso dalla paura di non salire sulle scialuppe di salvataggio ha lavorato per anni per l’autoconservazione nella speranza che la candela del consenso non si spegnesse mai. Io non mi sento di criticarli oltre misura, sono persone che hanno trovato il modo per non tornare al voto quando si poteva e quando sono state obbligate si sono candidate in posti sicuri. Siamo fatti tutti di carne ed ossa più che di coraggio. Certo, errori imperdonabili perché l’autoconservazione ha peggiorato le condizioni di un partito che comunque non avrebbe sostenuto la sfida dei nuovi tempi. Errori umani con effetti politici.

Che fare? Intanto bisogna fare il congresso dividendoci per aree a sostegno dei candidati così da eleggerne una/o e, di conseguenza, così da comporre per quote l’assemblea nazionale e la direzione. Poi ci penserà la storia a cambiarci, una storia vissuta all’opposizione, mentre la destra, con tutti i diritti che la democrazia le ha conferito, è al governo.

Più interessante sarà il congresso regionale.

Sul punto mi sbrigo con un richiamo ai doveri e alle responsabilità: sarà interessante se sapremo non copiare le divisioni congressuali nazionali per poi incollarle in Piemonte. Vedremo. La prima pietra per la costruzione di un’alternativa all’attuale governo piemontese passa proprio da questo appuntamento. Noi in Piemonte non abbiamo gli stessi tempi del PD nazionale.  

                                                                                       * Domenico RAVETTI – Consigliere regionale