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IL RITORNO AL PROPORZIONALE E IL RISCHIO (O L’OPPORTUNITA’) DI UN BIG BANG.

L’Arcivescovo di Campobasso, Monsignor Giancarlo Maria Bregantini e il professor Stefano Zamagni sono due soggetti di grande valore. Il religioso, oltre ad essere impegnato da sempre contro la ‘ndrangheta, è attivo sui temi sociali, del lavoro e della giustizia sino ad essere considerato come una voce autorevole e rappresentativa nel dibattito nazionale tra politica, Chiesa e cittadini. Per quanto riguarda il professor Stefano Zamagni tra i suoi importanti ruoli accademici è significativo ricordare che è stato nominato da Papa Francesco circa due anni fa – Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali -. Da diversi giorni alcuni giornali locali, ed oggi anche un quotidiano nazionale, hanno pubblicato il pensiero dell’Arcivescovo di Campobasso circa il suo auspicio rivolto alla politica di occupare uno spazio per la rinascita “di un Partito a vocazione cattolica ispirato al popolarismo cristiano”. Nel contesto di un articolato approfondimento indica non solo le ragioni ma anche l’opportunità di studiare il progetto avvalendosi di “Insieme” che è una formazione politica costituita senza clamori sul finire del 2020 e che vede tra i “garanti” proprio il professor Stefano Zamagni.

La riflessione pubblica di Monsignor Bregantini contiene spunti rilevanti sui quali la politica non può dimostrare un approccio superficiale. L’attualità è figlia di un processo storico nato attorno ai primi anni dell’ultimo decennio del secolo scorso dove si pensava, io dico a ragione, di superare le pastoie del parlamentarismo compromissorio con la semplificazione del maggioritario e con una tendenza a consolidare due poli: da una parte i progressisti (centro sinistra) e dall’altra i conservatori (centro destra). Ma l’attualità è qui a dimostrare che la stagione della trasformazione del sistema politico si è arenata o, per descrivere con altre parole la stessa cosa, si è evoluta in uno schema a coalizioni variabili attraverso il ritorno al proporzionale. Mi è chiara allora l’esigenza espressa nelle interviste di avere a disposizione un contenitore identitario capace di ospitare quel pensiero “che sappia progettare il futuro basandosi innanzitutto sulla dottrina sociale della Chiesa”. Quindi, quale sarebbe, nel caso, l’utilità del PD, che fine farebbe la sua vocazione maggioritaria, e quale prospettiva ci sarebbe per il fondamento della sua esistenza che è il frutto dell’ambiziosa unità tra le evoluzioni delle forze popolari e quelle socialiste?

NON BASTA.

c'è un qui e ora e c'è un dopo
Osservazioni per il presente e per il futuro.

Viviamo il presente in questa bolla sospesa nell’aria dove il Covid-19 permea i pensieri e le azioni pubbliche e private. In questa bolla sospesa si vive quasi come se ora, nel presente, non dovessimo progettare un “dopo”. Eppure molto è già successo alla nostra comunità, tanto quanto basta per scoprirci in ritardo rispetto alle scelte per il futuro. Per esempio è già successo che questo virus ha ulteriormente marcato le differenze tra chi vive nel benessere e chi invece soffre, spostando nel campo delle sofferenze sempre più persone. Ciononostante nella bolla attuale sono in vigore provvedimenti a tutela delle fasce più a rischio, per esempio è stata attivata per un periodo più lungo e per più lavoratori la cassa integrazione, sono stati congelati (ancora per poco, è questione di giorni) molti pagamenti di tasse e imposte, sono stati assicurati i “ristori” a tante categorie imprenditoriali, spesso piccole e già in difficoltà. Quando termineranno gli effetti di questi provvedimenti, termineranno anche le tutele sociali a favore di milioni di italiani che, non per essere facili profeti di sventura, inevitabilmente concorreranno ad ingrossare le fila della sofferenza. Come detto in premessa, e come confermato sia da autorevoli Istituti di analisi sociale che da associazioni impegnate “sul campo” come Caritas e Banco alimentare, rispetto agli anni scorsi nel 2020 quelle sofferenze sono già aumentate oltre ogni ragionevole previsione. Quello che è accaduto negli ultimi 12 mesi si somma alla situazione in essere da tempo nel nostro Paese dove le politiche per il welfare si sono dimostrate non più adatte ad includere tutti i bisogni di una società che ha mutato la sostanza delle sue caratteristiche, le nostre imprese hanno perso quote di mercato e, più in generale, nel processo di globalizzazione la voracità della nuova finanza ha impoverito una massa indistinta ma enorme di persone. Ecco quindi la necessità in Italia ora, non dopo, di leggere la realtà per mettere in campo non una ma tante decisioni radicali quante servono ad essere protagonisti del cambiamento. Per queste ragioni mi sono convinto che lo schema adottato dalla politica così com’è non basta, non è sufficiente, è del tutto parziale, inadatto ad affrontare il nuovo tempo. Il “non basta” dovrebbe essere il mantra ossessionante che accompagna le giornate di chi ha responsabilità sulla vita del prossimo. Tutto è fondamentale ma non basta dire Europa, non basta il Recovery Fund, non basta il Mes, non basta una seria riforma del fisco, non basta ricostruire dalle fondamenta il sistema sanitario pubblico, non basta portare a termine una efficace riforma della giustizia soprattutto quella civile, non basta la riconversione ecologica, non basta investire in ricerca pubblica, non basta ridurre il numero dei parlamentari, non basta modificare la legge elettorale consentendo ai cittadini almeno di scegliere chi li rappresenta in Parlamento, non basta il Federalismo e l’autonomismo, non basta progettare più infrastrutture modernizzando il Paese, non basta investire nella scuola, non basta, non basta, non basta. Ognuno decida il suo “non basta”. Ogni singolo impegno da solo non è abbastanza per affrontare la complessità dei nostri tempi ma uno alla volta, qualcuno insieme ad altri nello stesso momento, comunque tutti presto, dovremmo affrontarli. Due domande.

La prima: nel contesto attuale, in questa democrazia parlamentare che non può permettersi il ritorno alle urne nel 2021, per l’enormità delle sfide che abbiamo di fronte, con la specifica che non auspico un perimetro più largo dell’attuale maggioranza, bastano le competenze a disposizione di questo Governo?

La seconda: in prospettiva, sul medio e sul lungo periodo, l’attuale PD, questo del 20%, il Partito nato agli albori del secondo millennio su un terreno completamente diverso da quello in cui viviamo, basta ad ospitare e a organizzare i sogni, le speranze, le inquietudini e i bisogni di una società nuova ormai non più affascinata dall’eco del messaggio iniziale?             

Le infrastrutture necessarie e il ruolo della Regione a favore del territorio alessandrino.

Una fondazione per gestire il teatro di Alessandria? Un nuovo ospedale? Un nuovo ponte? Va bene tutto ma mettiamo a terra la linea di confine tra le parole e i fatti.

Ho depositato un’interrogazione per il Consiglio regionale di martedì 29 dicembre per sapere qualcosa in più sul futuro del teatro e sull’ipotesi accennata dal sindaco di Alessandria di una nuova Fondazione per promuovere le arti nelle infrastrutture culturali pubbliche non solo della città di Alessandria (credo).

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Mi pare una buona idea, solo che abbiamo i cassetti pieni di buone idee che, se non realizzate, oltre ad essere inutili occupano anche inutilmente dello spazio.

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Il tempo difficile in cui viviamo impone alle Istituzioni il passaggio oltre la linea di confine che separa le intenzioni dai fatti.

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Non a caso affermo da anni che serve una consapevolezza condivisa dei problemi e delle opportunità, una consapevolezza che nel territorio provinciale purtroppo non è abbastanza presente. Ma non solo sul teatro.

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Aggiungo che sono contento per come è stata trattata dai media, e per come è stata accolta dai cittadini, la notizia dei primi vaccini contro il Covid-19. E’ il segno di speranza che aspettavamo, un primo ma fondamentale passo verso la normalità.

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Quando è difficile vivere il presente diventa complesso progettare il futuro; quindi proprio ora vorrei riflettere apertamente su una questione sostanziale che riguarda la salute nel territorio in cui viviamo.

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E’ noto che le strutture ospedaliere moderne hanno ormai abbandonato il principio di ospedale come luogo dell’asilo, dell’assistenza e della convalescenza assistita. Le infrastrutture sanitarie del futuro saranno chiamate a garantire l’erogazione di prestazioni sempre più numerose e tecnicamente complesse in connessione con le comunità scientifiche internazionali della ricerca clinica e della formazione sanitaria.

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Ma il futuro non aspetta, arriva presto e non deve cogliere impreparate le Istituzioni. Se davvero in questa provincia si intende mettere al centro le persone, la sicurezza, l’integrazione con il territorio, la qualità delle cure, l’appropriatezza, l’innovazione, se davvero si vuole dare priorità alla salute della nostra comunità, allora si deve avere consapevolezza che non è possibile immaginare un futuro in un edificio, il Santi Antonio e Biagio, la cui costruzione è iniziata tra il 1782 e il 1790.

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Un hub ospedaliero di riferimento per l’intero quadrante alessandrino e astigiano costruito in un periodo storico dove l’innovazione era rappresentata dall’illuminazione a gas (e dall’acqua corrente in alcune case) non potrà competere con gli spazi a noi vicini che ospiteranno gli ecosistemi digitali di prossima generazione.

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Ed infine, sempre a proposito di infrastrutture, non è una cattiva idea nemmeno quel secondo ponte sul fiume Bormida, che potrebbe più agevolmente collegare il mondo con la città di Alessandria.

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Da appunti presi in varie conversazioni a me risulterebbe che per la realizzazione dello stesso servirebbe una cifra pari a più del doppio rispetto a quella prevista nella quota parte di quei 49 milioni dedicati alla città di Alessandria per le “opere di compensazione” ottenute dal Terzo Valico. Io non ho motivi per dubitare delle parole degli amministratori del capoluogo; se dichiarano che il ponte si farà io non posso sostenere il contrario. Ma ho almeno qualche buona ragione per dire che andrebbe chiarita subito la provenienza dei fondi per la copertura totale del costo di realizzazione.

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Altrimenti la Regione Piemonte e i cittadini di tutto il territorio provinciale resteranno nello spazio delle parole, degli auspici, dei desideri, delle ipotesi, tra un ospedale che non c’è, un teatro che c’è ma è come se non ci fosse e metà ponte che intanto prima o poi l’altra metà si farà.